Questo pomeriggio ho visto giocare mio figlio a pallone, in una squadra di ragazzini dalle belle speranze, con tanto di maglietta e pantaloncini gialli. Prima di oggi, non era mai impazzito per il calcio, tutt’altro, amava la lotta, il Judo e la piscina. Sport onorevoli e responsabili per la crescita dei nostri bambini. Ma non sono il calcio.
Conclusosi l’allenamento, lo porto a casa in auto, nel mentre, ascolto tutte le sue gioie appena provate e tutto l’entusiasmo verso questo nuovo sport. La cosa meravigliosa è che si dimentica pure di chiedere il telefono per giocare a Fortnite.
Facciamo la doccia insieme, con gli occhi schiumati dallo shampoo, mentre continua a raccontarmi di come Alex, il suo amichetto di squadra, riesce sempre a rubargli il pallone con l’inganno. Ceniamo con altrettanta allegria mentre si lamenta di un colpetto al costato ricevuto durante la partitella. La serata perfetta si conclude con lui che mi chiede di guardare la partita della Juventus insieme prima di andare a dormire. Una serata normale per molti padri, ma non per me. Quella appena descritta è stata “la mia prima volta“.
Non abbiamo parlato di Covid, di mascherine sul naso, tantomeno di gel igienizzante. Eravamo da soli, noi, gli altri e lo sport. Una sensazione unica, che mi ha riportato indietro alla mia infanzia, quando “tutto” era solo il pallone e l’erba dei campi. A distanza di quarant’anni, mio figlio trova la sua libertà, giocando semplicemente a calcio insieme ad altri bambini. Che grande soddisfazione…